Avete presente il DTM? Allora, il DTM, che sta per Deutsche Tourenwagen Masters, Campionato Tedesco Turismo, è una serie automobilistica che per anni è stata Regina nel Motorsport teutonico. Ha vissuto vari cicli, momenti di successo e momenti di crisi, e in queste varie fasi sono cambiate anche le filosofie e di conseguenza le vetture eleggibili.
Il nome è rimasto lo stesso, nel senso, ha sempre tenuto Turismo nella propria sigla, anche quando a metà anni novanta lo storico organizzatore, la ITR, mutuò il nome da DTM a International Touring Car Series (ITCS), dato il successo oltre confine che aveva avuto questa manifestazione, ma sempre di Touring parliamo.
Il DTM fu uno di quei Campionato che la FIA uccise: gli organizzatori volevano darle i crismi di un Mondiale, ma ciò finì per consegnare la loro creatura alla Federazione Internazionale. Cosa accadde? Beh quello che è accaduto in ogni settore, in quegli anni: istituzionalizzazione, aumento dei costi, paddock blindati, ricerca del professionismo di facciata e spettacolo sacrificato.
Il progetto saltò per aria e tornò qualche anno più tardi, inizialmente con vetture Turismo, prima di passare a dei veri prototipi ricarrozzati, ovvero delle silhouette car, solo estetica in carbonio e vetroresina, ma nulla a che vedere con le sembianze apparenti. Infine, più recentemente, l’addio ai prototipi, che nel frattempo erano passati a montare nei loro telai tubolari un motore 2 litri 4 cilindri turbo, e la trasformazione in una Classe GT3, dove quindi troviamo le vetture di questa Classe già schierate in tutto il Mondo, progetti “proprietari”, quindi realizzati dalle varie Ferrari, Lamborghini, Audi, BMW, Mercedes, Porsche.
In origine, invece, il DTM prevedeva l’impiego di vetture Gruppo A, vale a dire vetture turismo di grande produzione, insomma le berline che si vedevano per strada ogni giorno.
Eravamo nel 1984 e ben presto i Costruttori iniziarono a creare, sulla base delle vetture di serie (che dovevano rispettare le 2500 unità/anno e una continuità di produzione di almeno 12 mesi), versioni speciali, pur sempre stradali, ma concepite per offrire una base ai progetti nel Motorsport, rispettare le linee guida regolamentari e tirare le vendite di tutta la gamma.
Erano tempi in cui le auto le vendevi facendole correre.
La Mercedes 190E 2.5-16 Evolution II rappresenta ciò che era il DTM prima di divenire, di fatto, un Campionato prototipi con riferimenti solamente apparenti alle vetture di serie. Ma è un fulgido esempio del perchè, alla fine, si decise di proseguire solamente con carrozzerie che rimandavano all’auto stradale e protopizzare il resto.
Fino ai primi anni del ’90 il Regolamento DTM si rifaceva alle linee guida dettate dalla FIA per l’Omologazione delle vetture Gruppo A e, quindi, per realizzare la base di una auto da corsa ufficiale era necessario produrre (e vendere) esemplari al pubblico.
La 190E 2.5-16 Evolution rappresenta il gioiello dell’intera serie 190 W201, la generazione di berlina di media fascia, e media stazza, nata nel 1983, peraltro disegnata da un grande italiano, Bruno Sacco, che dal 1975 era a capo del Centro Stile Mercedes.
Il tassello più gustoso di questa storia venne presentato al Salone di Ginevra nel marzo del 1990. Negli anni precedenti la Casa di Stoccarda aveva buttato fuori altri modelli, sempre seguendo questa filosofia, per esempio proprio nel 1984, primo anno di DTM, la 190 E 2.3-16, mentre nel 1989 fu la volta della 190 E 2.5-16 Evolution I, basata sulla seconda serie da poco introdotta.
La Evolution II (1990) era erede della Evolution I (1989) e venne costruita in soli 502 esemplari nei primi mesi del nuovo decennio. In Italia era acquistabile in Concessionaria al prezzo di 130 milioni di lire. Divenne rapidamente conosciuta con il semplice nome di EVO II, in effetti 190E 2.5-15 Evolution II era troppo lungo.
Non c’erano particolari optional: era quella, vernice tonalità blu-nero, bodykit con allargamenti importanti, così come importante era l’ala posteriore che la avrebbe contraddistinta anche nelle competizioni nei tre anni successivi. Questo è il succo di tutta la questione.
Sì, perchè non era un’Ala ammiocuggino campata per aria. Tutto il Kit fu sviluppato dall’ingegnere aerodinamico Rudiger Faul (Mercedes-Benz Development a Sindelfingen) insieme al professor Richard Läpple dell’Università di Stoccarda.
Per ottimizzare la deportanza stabilizzante sull’asse posteriore, l’alettone aveva un lembo retrattile sulla traversa superiore. Nella parte posteriore inferiore, l’ala poteva essere inclinata e lo spoiler anteriore era regolabile longitudinalmente in due posizioni. L’ala posteriore generava un carico di 57,1 kg, mentre lo spoiler anteriore 21,2 kg.
Mi viene l’angoscia a pensare alle Mercedes stranosessuali di oggi.
Montava sotto al cofano il motore quattro cilindri 2.5 litri “Superquadro” alessaggio x corsa 95.5×87.2, portato a 235 CV di potenza massima, alla fine non male perchè, ricordiamolo, stiamo parlando di un motore aspirato degli anni ’80.
La “zona rossa”, il limitatore di giri, veniva raggiunto decisamente in fondo: la massima potenza era erogata a 7200 giri, a fronte di una coppia di 245 Nm disponibile non prima di 5000 giri. La Evo II revvava a 7700 giri, ma il Superquadro, permettetemi l’incoerenza geometria, è un motore tondo.
Il motore siglato M102E25/2 era abbinato ad un cambio manuale a 5 rapporti e la macchina pesava 1395 kg a vuoto, non poco, ma era pur sempre una ammiraglia. Sarebbe stata svuotata per le gare. Infatti non era un missile eh, nemmeno per l’epoca. Pensate che la Evo 2 era la 190E che pesava più di tutte.
Banalmente aveva le stesse cose della base base base, la 190 1.8 da 100 cv scarsi che guidava il vecchio col cappello e che storicamente passava alla vedova, ma ne dovevi aggiungere altre: più comfort, visto il prezzo, quindi sedili più pesanti, carrozzeria più grande, cerchi più grossi, freni più grandi, irrigidimenti che si traducono in barre e rinforzi sulla scocca, quindi in peso… Non vennero adottati materiali più nobili o accortezze particolari a livello di componentistica. Perchè? Perchè a Mercedes non serviva.
Eppure una cosa era evidente, ovvero l’evoluzione aerodinamica, le prestazioni velocistiche erano non banali per una berlina cinque porte di 30 anni fa: da 0 a 100 km/h in 7 secondi e velocità massima di 250 km/h, ma nulla di trascendentale.
Il vero lavoro venne svolto in Galleria del Vento e all’Università di Stoccarda: per Mercedes era fondamentale omologare una vettura con l’aerodinamica e l’Ala che avrebbero usato in gara, così come gli ingombri di lunghezza e larghezza e relativo bodykit.
Le finezze dell’intero progetto alla fine stanno qui. La W201 era comunque una macchina che volgeva a fine vita e che era stata pensata a metà anni ’70, pur portando in dote alcune finezze come lo schema delle sospensioni posteriori multilink che diventerà lo standard a livello industriale negli anni successivi.
Se guardiamo le prestazioni pure beh, non si fa il salto sulla sedia. Contestualizzare è molto importante. Mi viene in mentre un’altra auto della BMW della quale vi parlerò, ricca di raffinatezze ma secondo me affascinante più per come è riuscita ad aggirare le regole in termini di produzione ed omologazione stradale che per il risultato finale portato in Concessionaria.
Ma no spoiler, no spoiler, gli unici spoiler di oggi sono quelli della Evo 2.
Sempre in ottica DTM aveva irrigidimenti importanti nativi a livello di scocca e cerchi da 17″, che per il 1990 erano veramente grossi, così come le gomme, 245/40 R7.
Ah, nel DTM inutile dire che l’intero progetto subiva una rivoluzione, come tutte le auto stradali che diventano auto da corsa. La Race car da una parte, la vettura di serie dall’altro. Fatevene una ragione: salvo rare eccezioni, che avrò modo di raccontarvi, è sempre andata così.
La Evo 2 veniva stravolta, svuotata, rollcagiata, rivisto ogni particolare, dalle sospensioni alla scatola di sterzo, ma soprattutto il motore, visto che gli Ingegneri tedeschi riuscirono a tirare fuori dal Superquadro aspirato ben 373 cavalli di potenza massima. Qua si faceva sul serio. Quella sì, era un missile, una vera auto da corsa.
Sapete perchè non ho ancora citato AMG? Perchè Mercedes-Benz si faceva ancora i fatti suoi e AMG non era di proprietà di Mercedes-Benz, lavoravano assieme già da 20 anni nelle competizioni ma erano due realtà distinte.
Il Superquadro da DTM, così come del resto tutta la EVO II, fu l’ultimo progetto che Mercedes-Benz seguì internamente a 360°. Dopo lei, la palla finirà ad AMG, fino al completo assorbimento avvenuto nei decenni successivi.
La 190E 2.5-16 Evolution II Race Car debuttò nel Giugno del 1990 sul Nordschleife al Nürburgring, inizialmente affiancava la vecchia EVO I, ma a fine anno raggiunse la maturità e venne adottata da tutte le squadre della Stella.
Kurt Thiim ottenne la prima vittoria per la vettura il 5 agosto 1990 nella prima gara della gara sul tracciato di Diepholz.
Nel 1990 la Casa di Stoccarda si dovette arrendere all’Audi V8 Quattro di Hans-Joachim Stuck, nel 1991 a vincere fu ancora Audi con Frank Biela (bila) , ma nel 1992 arrivò finalmente il trionfo con il pilota tedesco Klaus Ludwig, che l’anno prima aveva fatto secondo.
Nella stagione 1992, i piloti Mercedes-Benz vinsero ben 16 su un totale di 24 gare DTM con la EVO II.
L’anno successivo le regole Gruppo A vennero abbandonate e per il DTM si aprì l’Epoca dei Prototipi dalle sembianze stradali, decretando la fine delle “DTM Road Legal”.
La nuova Classe infatti si chiamava FIA Auto 1 Turismo, il limite era quello della cilindrata da 2.5 litri, ma il resto venne liberalizzato: in questo contesto approdò in Germania un auto italiana iconica come la 155 V6 TI DTM, macchina che con la Alfa Romeo 155 aveva in comune solo la forma.
Il ragionamento fu questo. Apparenza per apparenza, tanto valeva costruire dei prototipi silhouette car, delle auto da competizione al 100%, non omologare dei bodykit, due paraurti, un’ala. Affascinante, per carità, ma di questo parlavamo.
Per un Costruttore costava molto meno allestire una decina di telai tubolari, riciclabili magari in altre competizioni e rivestendoli con altra carrozzeria all’occorrenza, piuttosto che creare centinaia di auto di serie con particolari estetici ed aerodinamici funzionali solo all’omologazione annuale FIA.
Anche perchè, se non lo avete ancora capito, le Evo2 che venivano successivamente preparate erano scocche nude assemblate da zero.
Per il DTM si chiudeva un’epoca e se ne apriva un’altra, non meno gloriosa, almeno fino al KO ideologico della FIA di pochi anni dopo, ma decisamente un’altra cosa.
Di Evo I ed Evo II vennero ufficialmente prodotti 502 esemplari cadauno, per darvi la dimensione dell’impatto a livello produttivo sulla W201, una macchina che è stata esportata in tutto il Mondo e che ancora gira, vi dico solo che di 190 E 2.0, quattro cilindri benzina aspirato da 122 CV, ne sono state prodotte 638.180, l’esemplare più venduto in assoluto, seguito dalla 190D a gasolio, 72 CV aspirati, 452.806 unità.
Nel 1993, dopo 1.879.629 esemplari prodotti, la Mercedes-Benz W201 andò in pensione. Venne sostituita dalla Mercedes-Benz W202 che, tradotto, sarebbe la prima generazione di Classe C.